Saturday Pop. Madonna: “La Isla Bonita”

Quando la canzone venne pubblicata, nel 1987, tutti quanti ci chiedemmo dove si trovasse questa favolosa isola, citata da Madonna nel testo.

“Last night I dreamt of San Pedro,
Just like I’d never gone,
I knew the song.”

Dalla musicalità latina, con tracce di flamenco, uso di maracas e piccole frasi in spagnolo, “La Isla Bonita” faceva pensare ad un’isola sudamericana, soleggiata, e dalla natura incontaminata. Il video stesso ci faceva tutti volare con la fantasia verso il Sudamerica.
Si ipotizzò a lungo su “San Pedro”, fino ad arrivare ad identificarla con un’isola davvero esistente: l’isola di Ambergris Caye, nello stato sudamericano del Belize, avente davvero un sobborgo chiamato San Pedro.


San Pedro, isola di Ambergris Caye, Belize

Benché molti indizi lasciassero supporre che questa fosse l’isola di cui parla Madonna nel testo de “La Isla Bonita”, fu la stessa cantante a sciogliere ogni dubbio: si trattava di una coincidenza.

Madonna ammise che nel 1987 lei ancora non aveva iniziato a viaggiare, e che non conosceva assolutamente l’isola di Ambergris Caye con San Pedro.
Più prosaicamente, Madonna registrò l’intero album “True Blue” (che include “La Isla Bonita”) presso i “Channel Recording Studios” di Los Angeles.
Lungo la strada che conduceva agli studi di registrazione, Madonna ed i suoi collaboratori avevano notato dei cartelli che indicavano “San Pedro”, che non è nient’altro che un distretto di Los Angeles posizionato verso la zona portuale della città.
Questo nome fu da ispirazione per l’inizio della canzone e per gli elementi spagnoleggianti presenti in essa.


Un cartello stradale che indica San Pedro, Los Angeles

Poco male.
Gli abitanti di San Pedro (Belize) si sono comunque appropriati della definizione “La Isla Bonita” (la bella isola), anche con l’intenzione di attirare un maggior numero di turisti a visitarla.

 

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La donna che seppe risorgere

Alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 vennero inaugurate le competizioni di atletica leggera femminile, che prima di allora non erano ancora state incluse nel programma dei Giochi.
La prima gara ad essere disputata fu quella dei 100 metri, che venne vinta da Elizabeth “Betty” Robinson Schwartz, che dunque divenne la prima donna vincitrice di una medaglia d’oro alle olimpiadi.
Non solo: la vinse all’età di 17 anni (era nata nel 1911) e rimane ancora oggi l’atleta più giovane a vincere l’oro olimpico nei 100 metri. Nelle stesse olimpiadi Betty Robinson vinse anche la medaglia d’argento nella staffetta femminile USA dei 4×100.

La vittoria di Betty Robinson alle Olimpiadi di Amsterdam, 1928

Tre anni dopo, nel giugno 1931, la Robinson rimase coinvolta in un incidente aereo.
Priva di sensi, venne ritenuta morta, e portata direttamente all’obitorio.
Solo dopo alcune ore il medico legale si accorse che l’atleta fosse ancora viva, anche se in gravissime condizioni. La commozione cerebrale la tenne in coma per quasi 2 mesi, le lesioni multiple subìte la obbligarono alla sedia a rotelle per altri 6 mesi, e per tornare a camminare normalmente ci vollero 2 anni.

Non fu più in grado di inginocchiarsi ai blocchi di partenza per le gare dei 100 metri, ma fu perfettamente in grado di correre come staffettista, ed infatti partecipò alla staffetta 4×100 metri alle Olimpiadi di Berlino del 1936.
Il team tedesco, grande favorito, fece un errore nel passaggio del testimone tra due atlete, e le americane riuscirono a vincere la medaglia d’oro.
Betty Robinson riuscì dunque a salire nuovamente sul gradino più alto del podio, a 5 anni dall’incidente in cui venne ritenuta morta.

La staffetta 4×100 metri alle Olimpiadi di Berlino del 1936.
Al minuto 1:40 la perdita del testimone da parte delle atlete tedesche.


Elizabeth “Betty” Robinson Schwartz (1911-1999)

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Questa strada, quella strada, l’altra strada

E’ sempre difficile assegnare un nome alle nuove strade: a chi intitolarle?
Spesso nei consigli comunali non vi è nemmeno l’unanimità per la scelta, per motivi ideologici o di semplice preferenza.
Nella cittadina canadese di Porters Lake, nella Nuova Scozia, hanno risolto brillantemente il problema.
Tre nuove strade?
Ecco i loro nomi:
“This Street” (questa strada)
“That Street” (quella strada)
“The Other Street” (l’altra strada)

No, non è uno scherzo. E’ tutto vero.
Questa scelta per i nomi stradali non è un problema per i residenti, ma può diventarlo per un eventuale turista che si trova dalle loro parti.
“Mi scusi, dove posso trovare un bar?”
“In Quella Strada
“Quella strada?”
“No, intendevo in Quella Strada

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Musei strambi. Gatlinburg (Tennessee, USA): Museo del “Sale & Pepe”

Si tratta in realtà di un museo dedicato alle “saliere” ed alle “pepiere”, ma “Museo del Sale & Pepe” a mio avviso in italiano suona meglio.

L’idea è venuta a due coniugi (lui designer di gioielli, lei archeologa) che avevano iniziato quasi per scherzo a collezionare “saliere” e “pepiere”, per poi iniziare a farsele anche regalare fino ad arrivare a possederne oltre 20mila coppie (40mila pezzi).
Ne hanno di tutti i tipi, variando di forma, di dimensioni e di materiale.
Hanno una coppia sale/pepe alta oltre 75 cm fatta in legno, un’altra in argento di dimensioni minuscole (può contenere al massimo un solo pizzico), altre ancora in ceramica, alcune rifinite in oro, altre in vetro, altre ancora antiche e certamente di valore.

Un museo assolutamente kitsch che eleva un oggetto domestico a livello museale.

Il museo si trova a Gatlinburg, nel Tennessee, ed è aperto tutti i giorni, ma solo per quattro ore (dalle 10:00 alle 14:00 dal lunedì al sabato, la domenica dalle 12:00 alle 16:00).
Costo del biglietto: 3 Dollari.
Gratis sotto i 12 anni.

Alla fine della mostra troverai un negozietto dove potrai comperare un grazioso set sale/pepe da portarti a casa.
E’ possibile l’acquisto dei set anche on-line, direttamente dal loro sito internet.

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“Se hai un nemico, alleati”

Nella vita a volte bisogna anche essere un po’ furbi, ed agire d’astuzia.

Ricordo che, quand’ero “moroso”, trovavo nella mamma di Chiara un ostacolo davvero duro da superare, per le mille paure che la attanagliavano.
Non so se all’inizio non mi vedesse di buon occhio, fatto sta che ci dava sempre pochissime libertà, e non si fidava affatto di qualsiasi cosa noi facessimo, sebbene in realtà fossimo in ogni cosa morigerati e rispettosi.
Per cui iniziai a vederla come un “nemico” ma, invece di scontrarmi con lei (cosa che avrebbe peggiorato la situazione), cosa ho iniziato a fare?
Ho iniziato a stare dalla sua parte, dandole ragione spesso, ma contemporaneamente strappando piccole concessioni che a me e Chiara facevano comodo. Ho iniziato ad essere un po’ ruffiano, a farle qualche piccolo regalino ricordandomi di compleanno e onomastico, ed in generale ad essere sempre positivo nei suoi confronti.
Devo dire che funzionò.

Ma il “nemico” lo trovai anche in altre occasioni: il compagno invadente, il collega antipatico, l’amico di compagnia egocentrico.
Ho sempre pensato che il mettersi “muro-contro-muro” mi fosse controproducente, proprio perché io ho anche una personalità debole, e avrei sempre avuto solo da rimetterci nel confronto con certe persone.
Per cui io, dal carattere poco forte, ma per fortuna con un cervello abbastanza funzionante, ho sempre utilizzato questo piccolo espediente non tanto per trarre vantaggio dalle situazioni, ma quantomeno per non averne uno svantaggio.

Un altro nemico, forse il più subdolo, è stato quello della depressione che poi è sfociata anni fa in situazioni più complesse, come stati d’ansia ed attacchi di panico.
Per cui ho preferito allearmi a lei, nella consapevolezza che essa sarà sempre presente, sempre in agguato, anche se non voglio.
Solo accettandola sono riuscito a metterla all’angolo, trovando il modo di riempire gli spazi vuoti, con i ricordi, con qualche hobby, facendo qualcosa di costruttivo. Anche con il blog.
Se lasciamo che i nemici prendano il sopravvento, vincono loro.
Meglio allearsi.


Propongo una alleanza

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La donna a luci rosse

Chi non ha mai guardato un film a luci rosse, più o meno spinto?
E chi non ha mai pensato che la dignità femminile sia un po’, come dire, quantomeno lesa, presentando la donna solo come oggetto sessuale?

Tre ricercatori canadesi della Università di New Brunswick, probabilmente tre segaioli, si sono posti una nuova domanda fondamentale, almeno dal loro punto di vista:
l’attività e la passività delle donne nei film porno può essere valutata in funzione della loro età?

Per valutare i comportamenti delle “teen” e delle “milf”, i tre luminari hanno sottoposto alcuni gruppi di volontari alla visione di ben 100 filmati pornografici scaricabili gratuitamente da internet, dove donne giovani ed altre un po’ più mature si destreggiavano in acrobazie sessuali più o meno complicate.

Si è così scoperto che le donne vengono valutate attive (e non passive) nella grande maggioranza dei casi ed indipendentemente dalla età, mentre per quanto riguarda l’iniziativa sessuale è più facile trovarla nelle “milf” che nelle “teen”, segno che con l’età si acquisisce anche esperienza sessuale.


Le mani con i calli di uno dei volontari. Effetto collaterale.

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D&D – Domenica e Dischi. I miei album preferiti del 1988

Continua la mia rubrica settimanale “D&D – Domenica e Dischi”, dove faccio una carrellata dei miei album preferiti dal 1973 fino al 2024.
Oggi parliamo dell’anno 1988.

Il 1988 per me è un anno importante per molti motivi.
A livello scolastico ho l’esame di maturità, dove – con una preparazione maniacale e molto puntigliosa – riesco a dare il meglio di me. Ottengo voti eccellenti sia nel tema di italiano che nella prova di matematica, e negli orali me la cavo in modo molto buono sia in Filosofia che in Inglese. Mi iscriverò in seguito all’Università, facoltà di Statistica, ramo “Statistica Economica”. Una scelta dettata dalla mia passione per i numeri e per la matematica applicata.
Con le ragazze, incredibile a dirsi, arriva finalmente il primo bacio e la prima morosa, anche se si trattò di un legame assai flebile durato solo pochi mesi. Fu lei a prendere l’iniziativa, perché io ero – come sempre – troppo timido ed impacciato. Ornella la ricordo con simpatia, anche se l’ho persa completamente di vista da allora.
La musica è sempre il mio rifugio giornaliero: pensate che riesco sempre a svolgere anche i compiti con il sottofondo musicale, e questa abitudine continua anche con gli anni universitari.
Nel frattempo ho anche iniziato a dare ripetizioni di matematica, ed in breve tempo iniziai a seguire 3-4 ragazzi delle superiori, con i quali otterrò ottimi risultati. Chiedevo parecchi soldi, in rapporto agli altri miei amici che davano ripetizioni: laddove loro chiedevano al massimo 8mila Lire all’ora, io andavo dalle 10 alle 12mila Lire, perché ho voluto da subito farmi un nome: da me costa di più, ma io ti garantisco risultati eccellenti. Ed ho sempre mantenuto ogni promessa.
Anche il 1988 si dimostra molto generoso in termini musicali, ed una enorme parte dei miei risparmi viene spesa in vinili di ogni tipo. Dando ogni settimana dalle 2 alle 4 ore di ripetizione, capirete che il mio budget di spesa per i dischi si era letteralmente impennato.

Eccovi dunque i miei 10 album preferiti del 1988.
Buona lettura.

#10 Bangles: “Everything”

A parte il fatto che Susanna Hoffs (la cantante) era bellissima (e lo è ancora oggi, cercate pure le sue foto nel web), questo album era impreziosito dal lento “Eternal Flame”, canzone arrivata al 1° posto negli USA e nel Regno Unito, ed a me è sempre piaciuta molto. Un album in cui compaiono altre canzoni in perfetto stile pop, tra cui spicca “Be With You”, molto ritmata.

#9 Boy George: “Tense Nervous Headache”

Boy George continua a piacermi, anche se devo ammettere che questa pubblicazione – per colpa della casa discografica – fu un po’ “pasticciata”. Ad ogni modo ci sono canzoni eccellenti come per esempio “Don’t Cry” (il singolo di apertura) e “I Go Where I Go”.

#8 Roxette: “Look Sharp!”

Ricordo che questo disco capeggiava negli scaffali di un famoso negozio di dischi di Padova, ma io mi chiedevo chi fossero, dato che non li avevo mai sentiti nominare, e non avevo mai intercettato le loro canzoni alla radio.
“The Look”, il singolo che li rese famosi nel mondo, faticò un po’ in Italia ad avere successo, ma nel giro di qualche mese i Roxette divennero famosi anche dalle nostre parti. Si tratta di un bell’album, dove le melodie pop scritte da Per Gessle ben si fondono con la voce della brava Marie Fredriksson. Oltre a “The Look” in questo loro secondo album troviamo anche “Dressed for Success” “Dangerous” e “Listen to Your Heart”, che ebbero buona diffusione radiofonica anche in Italia.

#7 Prince: “Lovesexy”

Prima d’ora, a parte la canzone “Sign o’ the Times” (splendida), Prince non mi aveva mai conquistato completamente. Ne riconoscevo bravura e genialità, ma non al punto di pensare di comperarmi i suoi dischi. Ma “Alphabet St.” la trovai incredibilmente bella, al punto di comperarmi sia il singolo (su vinile) che l’album che la conteneva. All’interno di “Lovesexy” troviamo anche “Glam Slam” e “I Wish U Heaven”, e da qui iniziai a seguire Prince con maggiore attenzione.

#6 Kim Wilde: “Close”

La bella Kim è già arrivata al 6° album, anche grazie alle sapienti mani di Marty Wilde (suo padre, musicista e produttore) e Ricky Wilde (suo fratello, musicista). L’album è perfetto synth-pop, ottiene ottime critiche ed ottimi risultati nella classifiche discografiche europee. Parecchie le canzoni di punta, tra cui “Hey Mr. Heartache”, “You Came”, “Four Letter Word” e “Never Trust a Stranger” (la mia preferita).

#5 Erasure: “The Innocents”

Gli Erasure sono ormai una band di primissimo livello, e nel Regno Unito “The Innocents” arriva al 1° posto della classifica, grazie al perfetto connubio Vince Clark (tastiere e sintetizzatori) ed Andy Bell (voce).
Synth-pop di primissimo livello, che si concretizza in canzoni del calibro di “A Little Respect”, “Chains of Love” ed il lento/elettronico “Ship of Fools” (la mia preferita).

#4 A-ha: “Stay on These Roads”

3° album dei miei amici norvegesi, che continuano a produrre canzoni di primissimo livello. Anche “Stay on These Roads” conquista le classifiche europee (1° in Norvegia, 2° posto nel Regno Unito ed in Italia), ed a me le loro canzoni, impreziosite dalla voce di Morten Harket, continuano a piacere molto. In questo album troviamo parecchi singoli: “Stay on these Roads” (che dà il titolo all’album, ne parlai pochi mesi fa in questo articolo), “The Blood That Moves the Body”, “Touchy!”, “The Living Daylights” (tratto dalla colonna sonora dell’omonimo film di James Bond) e “Out of Blue Comes Green” che, benché non sia mai stata pubblicata come singolo, è una delle mie canzoni preferite degli A-ha, se non la preferita in assoluto.

#3 Eighth Wonder: “Fearless”

Vita breve, ma abbastanza memorabile, quella del gruppo Eighth Wonder, grazie non solo alle canzoni (pop di facile presa) ma anche alla presenza scenica di Patsy Kensit, la bella cantante.
Per quanto possa essere considerato semplicemente “pop commerciale”, in realtà le canzoni di “Fearless” (primo ed ultimo album della band) sono tutte tecnicamente perfette, ben musicate e davvero piacevoli all’ascolto. Molti i singoli estratti dall’album: “When the Phone Stops Ringing”, “Will You Remember?”, la bella “Cross My Heart” e “Baby Baby”, che a me piaceva moltissimo e che ha un inizio davvero incisivo. Ma ad impreziosire l’album è senza dubbio “I’m Not Scared”, una canzone che ha avuto ovunque un enorme successo (1° posto in Italia) e che era stata scritta dai Pet Shop Boys, i miei beniamini. Un ottimo album, per gli amanti del brit-pop.

#2 Duran Duran: “Big Thing”

“Big Thing” è il mio album preferito dei Duran Duran, nonostante altri album abbiano avuto un successo commerciale ben maggiore. Ma è molto elettronico e dance, ed il sound può facilmente essere definito synth-pop, che è il mio genere preferito. Adoro per esempio “All She Wants Is”, molto elettronica, ma anche “I Don’t Want Your Love”, molto dance. Ma adoravo anche “Do You Believe in Shame?”, che è una delle mie canzoni preferite della lunga carriera dei DD, ed a cui dedicai questo articolo.

#1 Pet Shop Boys: “Introspective”

I Pet Shop Boys non mi hanno mai deluso, e questo loro 3° album conferma la elevatissima qualità artistica musicale delle loro canzoni.
“Introspective” è un album atipico: solitamente negli album le canzoni hanno una durata medio-breve 3-4 minuti, per poi trovare – una volta pubblicati come singoli – una durata maggiore, anche sotto forma di “extended version” o di remix. I Pet Shop Boys rovesciano completamente l’approccio: nell’album le canzoni (solo 6) vengono presentate in forma estesa/remix con durate che vanno dai 6 ai 9 minuti, e una volta pubblicate come singoli assumono la durata tipica di 3-4 minuti.
Accanto a questo approccio inusuale, “Introspective” contiene anche delle canzoni di assoluta eccellenza. Per esempio c’è la famosa “I’m Not Scared”, proposta come singolo dagli Eighth Wonder (vedi posizione #3), ma anche “Domino Dancing” che ad oggi è una delle loro canzoni più famose anche per il sound molto “latino”. “It’s Alright” ha invece una base molto house (genere musicale sta sta diventando di moda in questi anni), ma la mia preferita è la meravigliosa “Left to My Own Devices”, dove il synth-pop dei Pet Shop Boys si sposa alla perfezione con l’orchestra diretta magistralmente da Richard Niles. Ed il testo è molto “introspettivo”, come suggerisce il titolo dell’album.
Si tratta probabilmente del mio album preferito dei Pet Shop Boys, anche se altri hanno avuto un maggiore successo. Ma io ne sono stato sempre innamorato, anche della copertina che come ho più volte detto ha anche influenzato il mio “header”, che ne ricalca stile e colori.

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Saturday Pop. Ti.Pi.Cal.: “Round And Around” / “The Colour Inside”

Adoravo la musica dance anni ’80, quella legata al synth-pop ed alla hi-nrg, ma ho accolto con favore anche l’avvento della house – e le sue innumerevoli vesti musicali – tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90.
Tuttavia la musica dance di produzione italiana in quegli anni non mi piaceva proprio: Molella, Fargetta, Prezioso, D’Agostino, Eiffel 65… osannati dai giovani e dal pubblico delle discoteche, molto programmati nei canali radiofonici, ai vertici delle classifiche… ma a me non piacevano affatto.
Delle loro canzoni non mi piaceva davvero nulla, le trovavo banali, rumorose, prive di qualsiasi appeal.
C’erano tuttavia alcune eccezioni: i “Da Blitz” (“Let Me Be”, “Take my way”, “Stay with me”), i “Cappella” (“U Got 2 Let the Music”, “Move on Baby”, “Tell Me the Way”) ed i “Ti.Pi.Cal.” (“Round And Around”, “The Colour Inside”).

I “Ti.Pi.Cal.” vengono dalla Sicilia, ed il nome del gruppo deriva dai cognomi dei 3 componenti: Daniele Tignino, Riccardo Piparo e Vincenzo Callea.
Magari molti non li ricordano, ma ascoltando i due brani qui sotto riportati vi verranno in mente.

Sì, perché la carriera musicale dei “Ti.Pi.Cal.” non è stata di primissimo livello, fatta eccezione questi due singoli che ebbero un successo travolgente, in radio, in discoteca ed in classifica.
Sia “Round And Around” che “The Colour Inside”, infatti, arrivano al 1° posto della classifica di vendite, ma “The Colour Inside” ci rimane addirittura per 10 settimane consecutive, divenendo il singolo più venduto dell’intero anno 1995.
Tuttavia, a parte questi due brani, dei “Ti.Pi.Cal.” rimane poco o nulla. Il gruppo si scioglie, si riunisce, cambia cantante (passando da Josh Colow a Kimara Lawson), produce nuovi singoli ed un nuovo album, ma il successo rimane un ricordo lontano.

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I “Carletti”

Se fossi ricco ed avessi una casa molto grande – due condizioni entrambe mancanti – collezionerei oggetti di ogni tipo.
Mi piacerebbe avere molti “Lego City”, per esempio. Ma mi sono sempre piaciute anche le bottiglie in miniatura sia dei liquori che dei profumi, o i magneti, oppure oggetti di ogni tipo che siano ai miei occhi gradevoli e collezionabili.
Da bambino facevo la raccolta delle figurine, ma collezionavo anche i tappi di bottiglia e gli adesivi.
Ora, da adulto, continuo a collezionare dischi (ma con un ritmo decisamente inferiore rispetto ad una volta, ed un budget di molto ridotto), e le monete commemorative da 2 Euro.

Alcuni anni fa mi misi a mangiare “sofficini” Findus a ripetizione, per poter collezionare quanti più “Carletti” mi fosse possibile. Li trovavo simpatici e, ad ogni modo, i “sofficini” mi sono sempre piaciuti.
Si tratta di una collezione assai ridotta, ma che tengo comunque esposta in casa da qualche parte (anche perché occupa pochissimo spazio).


Carletto sciatore, Carletto diavoletto, Carletto investigatore, Carletto snowboard


Carletto surfista, Carletto podista, Carletto fantasma


Carletto Zorro, Carletto ladro, Carletto indiano


Carletto poliziotto, Carletto esploratore, Carletto nuotatore, Carletto musicista


Il mio preferito è “Carletto fantasma” che è fosforescente e si illumina al buio

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Una bella soddisfazione lavorativa

Per tantissimi anni, praticamente da sempre, la mia Azienda ha sofferto di un complesso di inferiorità rispetto alle Aziende consociate, simili alla mia per struttura, fatturato, numero dipendenti (circa 120) ed obiettivi di mercato.
I più bravi sono sempre stati gli altri: più efficienti, più tecnologici, più strutturati, più moderni.

Negli ultimi anni il mio ufficio CED (Centro Elaborazione Dati, ma in effetti si tratta di un classico Ufficio “IT”, dove gestiamo la rete informatica aziendale a 360°) si è rinnovato parecchio, adottando sempre nuove tecnologie e nuovi metodi di lavoro, anche fungendo da “test” per molte applicazioni, e di fatto facendo da apripista per molte idee poi adottate anche da altre Aziende.
Senza rendercene pienamente conto, non solo abbiamo azzerato il “gap” tecnico/tecnologico che avevamo con le altre nostre consociate, ma le abbiamo anche superate tutte con grande distacco.

Nei giorni scorsi 3 delegati delle altre consociate sono venuti da me, su appuntamento, ed ho mostrato loro tutta la nostra gestione interna che spazia dai server, agli applicativi, passando per gestione periferiche, collegamenti remoti, telefonia, gestione del cloud, manutenzione, salvataggi, protezione, eccetera.
Sono rimasti di stucco, perché non c’è un solo ambito lavorativo in cui loro non fossero “indietro” rispetto a noi per quanto riguarda infrastruttura e applicazioni. Noi siamo più “avanti” di tutti in ogni aspetto, anche il più secondario. Ed il tutto con costi di gestione inferiori.

Il tutto non è frutto della casualità: noi del CED (siamo solo in 3) abbiamo dei collaboratori esterni evidentemente molto bravi, che ci hanno instradato bene, ed i frutti li stiamo raccogliendo ora, dopo anni ed anni di studio e fatica. Io personalmente sono molto soddisfatto del lavoro svolto: ho acquisito molteplici nuove abilità, ho sviluppato molte nuove conoscenze, e benché io non sia un genio, vedo che la mia applicazione (e quella degli altri 2 colleghi) ha portato ad ottimi risultati.

Lo stipendio tuttavia non è aumentato nemmeno di 1 Euro, ma non si dice forse che “il denaro non è tutto”?


Teneteveli pure, a me basta la soddisfazione

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