D&D – Domenica e Dischi. I miei album preferiti del 1991

Continua la mia rubrica settimanale “D&D – Domenica e Dischi”, dove faccio una carrellata dei miei album preferiti dal 1973 fino al 2024.
Oggi parliamo dell’anno 1991.

Nel 1991 incontro l’ostacolo maggiore del mio percorso universitario: il temutissimo esame di “Statistica 2”. Io adoro la statistica, studio dannatamente, mi preparo in modo meticoloso, ma l’esame non lo passo affatto. Poco mi rincuora che la percentuale di promossi si attesti sempre verso il 10%. Riprovo l’esame: nuovamente bocciato. Vado spesso a parlare con professore ed assistenti, insisto caparbiamente, ma per ben 4 volte consecutive vengo respinto.
Passerò finalmente solo al 5° tentativo, con un buon voto: 24.
Con la morosa Chiara va tutto bene, iniziamo anche a fare qualche breve vacanza insieme sia al mare (ovviamente a Cesenatico) che in montagna (dove lei ha la casa), e davvero sono al settimo cielo.
Continuo a spendere molti soldi comperandomi dischi di tutti i tipi, con un unico denominatore comune: mi piacciono. Non solo brit-pop, non solo elettronica, non solo synth: anche molto rock, se vogliamo, e lo capiremo nella classifica di quest’anno, dove appaiono anche U2, Sting, REM, Queen, Nirvana e Guns ‘n’ Roses.

Eccovi dunque i miei 10 album preferiti del 1991.
Buona lettura.

#10 Sting: “The Soul Cages”

Ricordo ancora che mi venne regalato in occasione del mio compleanno. Un regalo che apprezzai molto perché in effetti alcune canzoni le conoscevo – “All This Time”, “Mad About You” – ma l’album non me lo ero comperato.
Compare come “bonus track” “Muoio Per Te” (versione italiana di “Mad About You”) con testo scritto da Zucchero Fornaciari.

#9 Guns N’Roses: “Use your illusion I” / “Use your illusion II”

I Guns escono con 2 album contemporaneamente, entrambi meno heavy/hard rispetto ai precedenti, basti pensare alla presenza di songoli come “Don’t Cry”, “November Rain”, “Live and Let Die” e “Knockin’ on Heaven’s Door”.
Ma la mia canzone preferita è “You Could Be Mine” (inclusa nella colonna sonora del “film Terminator 2 – Il giorno del giudizio”), una canzone tutt’altro che morbida e lenta.

#8 Electronic: “Electronic”

Una sorta di “super gruppo”, con la presenza di Bernard Sumner (cantante e leader dei New Order) e di Johnny Marr (chitarrista degli Smiths), con la sporadica partecipazione di Neil Tennant (Pet Shop Boys).
L’album, a dispetto del titolo e del nome della band, non è “tutto” elettronico, anzi: la presenza di Marr dona all’intero progetto un suono molto rock, sebbene ovviamente accompagnato da tastiere e sintetizzatori.
I voti della stampa specializzata sono molto alti, e l’album arriva nella classifica inglese alla posizione #2. I miei brani preferiti sono “Getting Away with It” e “The Patience of a Saint”.

#7 Roxette: “Joyride”

3° album del duo svedese, che in effetti sembra non perdere un colpo. 1° posto in tutta la Scandinavia (Norvegia, Svezia, Finlandia) ed anche in Germania, 2° posto nel Regno Unito. Si tratta di euro-pop, ma fatto con intelligenza e con estro, e la bravura di Per Gessle e Marie Fredriksson la si evince da brani molto radiofonici come la stessa “Joyride”, “Fading Like a Flower (Every Time You Leave)”, “Spending My Time” ma soprattutto “(Do You Get) Excited?” che è la mia canzone preferita di sempre dei Roxette, sebbene non sia mai stata pubblicata come singolo.

#6 Erasure: “Chorus”

Synth-pop purissimo e di altissima qualità. Un album che nel Regno Unito raggiunge il 1° posto in classifica, e dal quale vengono tratti numerosi singoli uno più bello dell’altro: “Breath of Life”, “Am I Right?”, “Love to Hate You” (pubblicato anche in italiano con il titolo “Amo Odiarti”) e “Chorus”, che dà il titolo all’album ed è la mia canzone preferita.

#5 Nirvana: “Nevermind”

La prima volta che vidi il video di “Smells Like Teen Spirit” in TV c’era il volume a zero – non ne ricordo il motivo – e non seppi riconoscere chi fossero. Visto da lontano Kurt Cobain mi parve Sting (avevo evidentemente bisogno di una visita oculistica), poi alzai il volume e mi accorsi di aver preso un terribile abbaglio. Benché il sound di questa “nuova” band fosse quanto di più possibile lontano dai miei generi musicali preferiti, le canzoni mi piacquero immediatamente, non solo la famosissima “Smells Like Teen Spirit”, ma anche “In Bloom”, “Come as You Are” e “Lithium”. “Grunge”: un termine nuovo ed un genere musicale nuovo, che avrebbe poi avuto successo per parecchi anni.

#4 R.E.M.: “Out Of Time”

Impossibile non parlare di “Losing My Religion”, autentico capolavoro musicale presente in quest’album: si tratta di una delle mie canzoni preferite di sempre, cui sono molto affezionato sia per il testo che per la musica.
Benché Stipe, autore del testo, abbia più volte affermato che la canzone non parli espressamente di religione, è evidente che il testo – che parla evidentemente di uno stato di abbandono e frustrazione – possa essere interpretato in vari modi. Una canzone nella quale ci si può riconoscere, e questo la rende davvero speciale. Altre canzoni degne di menzione sono “Radio Song”, “Near Wild Heaven”, “Shiny Happy People” (un po’ troppo solare per i miei gusto) e “Low”.

#3 The KLF: “The White Room”

Un vero e proprio fulmine a ciel sereno.
I KLF si affacciano sulla scena musicale in modo atipico, con numerosi pseudonimi che sembrano scelti apposta per depistare critica ed ascolattori, ma soprattutto con uno stile musicale unico nel proprio genere. I KLF creano – moderni Tolkien – un mondo immaginario ispirato alla “Trilogia degli Illuminati” (libro scritto negli anni ’70 da Robert Shea e Robert Anton Wilson) che in chiave parodistica parla degli “Illuminati” (setta segreta) e dei “Discordianisti” (religione satirica) che lottano per la conquista del mondo.
Ecco dunque comparire nei testi dei KLF e nella loro iconografia alcuni simboli estratti dal libro:
– “The Land of Mu” ipotetico continente scomparso nell’Oceano Pacifico
– “The Justified and Ancient of Mu”, ossia una setta segreta di MU con i quali i KLF identificano loro stessi
– “Stand by the JAMs”, una sorta di venerazione dei profeti della terra di Mu (JAMs = Justified and Ancient of Mu)

“The White Room” è tutto questo, con canzoni da uno stile unico che viene battezzato “Stadium House”, e singoli eccezionali che raggiungono il 1° posto della classifica inglese: “What Time Is Love?”, “3 A.M. Eternal”, “Last Train to Trancentral” e “Justified and Ancient”. Bizzarri oltre ogni immaginazione, diventano il gruppo musicale che vende più dischi al mondo nel 1991.

#2 Queen: “Innuendo”

Un album struggente, ultima pubblicazione del gruppo con il frontman Freddie Mercury prima della sua morte avvenuta nello stesso anno. “Innuendo” – che dà il titolo all’album – è una canzone di una bellezza incredibile che “insinua” il finale tragico della vita di Freddie. Musicalmente la definirei “divina”, tanto è bella e complessa.
Ma poi ecco che tutte le canzoni ci portano verso il finale che nessuno avrebbe voluto e immaginato: “I’m Going Slightly Mad”, “These Are the Days of Our Lives”, “Bijou” (stupenda!) e “The Show Must Go On”, lo spettacolo deve continuare.
Certo: lo spettacolo continua. Ma senza Freddie sarà tutta un’altra musica.

#1 U2: “Achtung Baby”

Un vero e proprio capolavoro, osannato dalla critica e dal pubblico, che ha venduto nel mondo oltre 18 milioni di copie, vincendo numerosissimi premi. Un album in cui è evidente l’influenza tedesca non solo nel titolo, ma anche nei suoni dato che la band ha registrato gran parte dell’album a Berlino, presso gli “Hansa Studios”. Mi innamorai immediatamente del primo singolo pubblicato, “The Fly”, con la voce di Bono abilmente filtrata, e la chitarra di The Edge regina in alcuni assoli meravigliosi. E poi “Mysterious Ways”, vagamente arabeggiante nella musica, oltre che nel video (girato in Marocco). E poi il capolavoro assoluto dal titolo “One”, una della canzoni moderne più belle mai scritte, e forse il miglior brano della pur lunga e strepitosa carriera degli U2.
Senza poi dimenticare “Even Better Than the Real Thing” e “Who’s Gonna Ride Your Wild Horses”, che completano un’opera musicale che a mio avviso ognuno di noi dovrebbe tenere in casa.

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Saturday Pop. Faithless: “We Come 1”

“I’m the left eye
You’re the right
Would it not be madness to fight?
We come 1”

Ho sempre amato i Faithless, perché non solo hanno sempre proposto canzoni dance di primissimo livello, ma hanno anche spesso veicolato nei loro testi messaggi di contenuto sociale e morale tutt’altro che banali.
Questo grazie al contributo dei 3 componenti della band, tutti così diversi tra loro: Rollo (sintetizzatori), Sister Bliss (tastiere, ma nata con la musica classica nel sangue), Maxi Jazz (paroliere, poeta, buddista convinto).
Sono stati per anni i paladini della “club-culture”, quella musica da discoteca che – al contrario della rave – porta alla socializzazione ed alla rimozione delle barriere culturali.

Il convinto anti-militarismo presente nelle loro canzoni, si evince in “We Come 1”, brano che parte da un presupposto molto semplice: perché farsi la guerra quando potremmo essere tutt’uno?

“Io sono l’occhio sinistro
Tu sei quello destro
Non sarebbe una follia combattere?
Diventiamo tutt’uno”

In un periodo così bellicoso, dove i mass media sembra facciano a gara per proporre escalation che nessuno desidera, il richiamo alla “pace” sembra essere anti-conformista, perché il cattivo deve sempre essere sconfitto, e la sua terra rasa al suolo.
Essere “pacifisti” viene paragonato all’essere “buonisti” a tutti i costi, o addirittura ad essere “ingenui”, perché ogni offesa deve essere ricambiata con una reazione 10 volte maggiore.
Ed invece, in un mondo interconnesso come il nostro, sarebbe davvero facile capire che tutti hanno bisogno degli altri, nessuno escluso.

Io sono l’occhio sinistro, tu sei quello destro
Per vedere bene dobbiamo rimanere uniti, non combatterci.

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Dieci alla decima: i miei 10 negozi di dischi preferiti

Il giorno 10 di (quasi) ogni mese, pubblico una personale classifica o un elenco riguardanti argomenti molto differenti tra loro. Spesso parlo di musica, ma ho parlato anche di sport, di cibo, di vacanze e di quant’altro mi potesse passare per la testa.

Questo mese ho pensato di elencare i miei 10 negozi di dischi preferiti.

Negli anni ’80 e ’90 le mie mete di shopping preferite erano rappresentate dai negozi di dischi.
Sempre preso dalle nuove uscite discografiche, e con l’intenzione di comperarmi i dischi che più mi piacevano, passavo anche interi pomeriggi (il sabato) a rimirare copertine, a leggere i titoli e ad ascoltare nuove canzoni (in alcuni negozi era possibile farlo).
Ogni negozio di dischi aveva le sue peculiarità, e sapevo perfettamente cosa trovarci. Pertanto avevo le mie preferenze, dettate ovviamente dai miei gusti musicali.
Ecco dunque i miei 10 negozi di dischi preferiti, legati alla “vecchia” Padova degli anni ’80 e ’90 (con un paio di eccezioni).

#10 “Saxophone” (Vicenza)

Iniziamo subito con una eccezione, dato che il “Saxophone” si trovava a Vicenza, e non a Padova.
Ci andavo 2-3 volte all’anno, non di più, giusto per fare un giro e vedere se ci fossero dischi che a Padova non avevano trovato diffusione, o che io mi ero perso.
A quel tempo era gestito da un DJ, il quale aveva – esattamente come me – una grande predilezione per i “dischi mix”, e la musica da discoteca.
Ricordo esattamente, per esempio, che fu proprio allo “Saxophone” che comperai il 12″ remix di “Enjoy The Silence” dei Depeche Mode, che altrove non avevo trovato.
Il “Saxophone” ha chiuso da pochi mesi, a Vicenza non è rimasto nemmeno un negozio di dischi.

#9 “Dischi Ricordi

“Dischi Ricordi” si trovava a Padova, nelle prossimità di Piazza Garibaldi, notissimo posto di aggregazione per i giovani. In un punto ottimale, Dischi Ricordi aveva anche una numerosissima clientela, anche se devo dire che non fosse un negozio che mi attirava troppo. Non trovavo molta musica che mi piaceva, ed i commessi erano sempre impreparati alle mie domande, anche le più semplici. Non avevano alcuna cultura musicale.
Tuttavia in questo negozio arrivavano sempre, ogni settimana, valanghe di 45 giri, tutte le novità della settimana; così io potevo scorrere i dischi, ammirarne le copertine, e comprerare quelli che più mi piacevano. A patto di non chiedere nulla ai commessi, che non avrebbero mai saputo rispondermi.
“Dischi Ricordi” ha chiuso circa 15 anni fa per lasciar spazio ad un negozio di alta moda.

#8 “Discolandia

“Discolandia” era un negozio specializzato in musica meno commerciale: potevi trovarci molta new wave, la dark, e comunque tutti dischi meno reclamizzati rispetto a quelli da classifica. Non ci trovavi Baglioni o i Duran Duran, per capirci. Ma ci trovavi i Cure, o Siouxie.
Incredibile a dirsi, fu proprio da “Discolandia” che mi innamorai delle copertine dei Pet Shop Boys – notoriamente la mia band prediletta – dato che mettevano in bella mostra ogni loro disco in uscita.
“Discolandia” ha chiuso almeno 15 anni fa, ora al suo posto c’è un supermercato.

#7 “Crash Records

“Crash Records” era specializza in dischi usati. Ci andavo 3-4 volte all’anno per vedere se trovavo qualche occasione. Dovete capire che io, per le mie band preferite, cercavo sempre e comunque il disco nuovo e perfetto tuttavia, per artisti e band che mi piacevano a “spot” (per una sola canzone o per un solo album), comperavo il disco solo se lo trovavo ad un prezzo molto competitivo.
“Crash Records” ha chiuso oltre 10 anni fa, credo che il piccolo negozio non sia mai stato rilevato.

#6 “Green Records

Vicino a dove lavoravo c’era Flavio, con questo suo negozio molto alternativo. Da lui potevi e puoi trovare (il negozio è ancora aperto) dischi rari e da collezione (edizioni limitate, picture disc, edizioni straniere, dischi promozionali), che molto spesso era possibile ordinare e che poi, pazientando un po’, alla fine il titolare riusciva a procurarti. Non ci vado da anni, ma mi è capitato di passarci davanti e notare che i dischi in vendita sono sempre molto ricercati e non banali.

#5 “Gabbia

Anche “Gabbia” è un negozio ancora aperto, pur avendo un po’ cambiato obiettivi: i dischi rendono poco, ed ecco che vende anche impianti hi-fi e piccoli elettrodomestici. Il titolare è tuttavia molto preparato a livello musicale, ed ogni anno riesce a procurare i dischi del “Record Store Day”, evento ben noto agli appassionati di musica come me.

#4 “Pick Up

Anche “Pick Up” non si trovava a Padova, ma in prima periferia. Si trovava a 500 metri da casa mia, e ci andavo spessissimo, anche solo per chiacchierare con Adriano, il titolare del negozio.
Adriano aveva dischi di tutti i tipi, ma se cercavi qualcosa di recente che non aveva in negozio, sapeva procurartelo nel giro di pochi giorni. Ti faceva anche – sottobanco – le compilation in cassetta della canzoni che tu preferivi.
Il negozio ha chiuso da almeno 20 anni, Adriano si è poi dedicato all’insegnamento musicale.

#3 “Il Ventitré

“Il Ventitré”, vera e propria istituzione musicale padovana per circa 50 anni, ha chiuso i battenti da poco. Ho dedicato alla sua chiusura questo articolo.
In questo negozio potevi sempre trovare dischi in offerta speciale, e molta musica non commerciale (per es. Jazz o Classica). Non era specializzato nei generi musicali miei preferiti, tuttavia negli scaffali era tutto perfettamente ordinato, ed era facile cercare e magari trovare qualche disco mancante alla mia collezione. Ovviamente in offerta speciale.

#2 “Virgin Records

In questo negozio ci ha lavorato per anni mio fratello. Era un negozio modernissimo, dove potevi ascoltare i CD con le cuffie, e dove davvero tutto era improntato sulla musica inglese che piace a me. Entrando alla “Virgin Records” ti dava l’impressione di essere a Londra, per capirci. Ovviamente c’era anche musica italiana, ma solo quella più da classifica. Di musica britannica, invece, potevi trovare qualsiasi cosa, principalmente su CD. Da loro ho comperato decine e decine di “CD singoli”, bastava che mi piacesse la canzone, o il remix. Il negozio si trovava in una posizione strategica, sulla strada principale che porta alla stazione, nelle vicinanze degli ambienti universitari, che a Padova sono sempre molto popolati specialmente durante l’anno accademico. Andava tutto a gonfie vele, finché non ci fu il cambio di proprietà: la nuova titolare, nota imprenditrice nel ramo farmaceutico, lo lasciò colpevolmente cadere in disgrazia, con grande danno anche verso i dipendenti.

#1 “Dischi Arcella

Giunsi in questo piccolo negozietto, fuori dal centro cittadino, quasi per caso. Dietro a montagne di dischi appariva lui, Joao, che nella penombra appariva come un guru. Di fianco a lui (o dietro, o in entrata) suo padre – chiamato da tutti “Don Pablo” – sempre con la sigaretta in bocca.
Joao, di pochi anni più vecchio di me, aveva (ed ha) una conoscenza musicale infinita. Sa tutto di tutti, conosce tutti, è espertissimo di ogni genere musicale. Capisce perfettamente i gusti miei e di tutti i suoi clienti abituali, e ci propone decine/centinaia di dischi che lui ritiene ci possano piacere. Ed indovina sempre.
Da lui passo interi pomeriggi, ore ed ore ad ascoltare musica nuovissima, anche grazie al fatto che da lui si approvvigionano tutti i più famosi DJ da discoteca della zona, e Joao sa perfettamente cosa proporre loro: dance, house, techno, underground, lounge…
E’ da Joao che coltivo e sviluppo la mia passione anche collezionistica, perché lui è formidabile nel trovare i dischi – nel 99% dei casi in vinile – che sa che mi potrebbero interessare e piacere.
Con lui parlo di musica, di calcio, di ragazze, di vita. Una vera amicizia, anche se confinata dentro il piccolo negozio (poi negli anni ampliato). Anni che non esito a definire bellissimi e indimenticabili.
Pet Shop Boys, Dead or Alive, Depeche Mode, Beloved… ma anche Madonna, Faithless, A-ha… spesso uscivo da “Dischi Arcella” senza soldi ma felice, con le borse piene di dischi che erano per me la gioia più grande ed irrinunciabile.
Ero convinto che Joao amasse, come me, la musica inglese, la brit-pop, la house, la techno, l’elettronica, la dance.
Ebbene: mi sbagliavo.
Lui conosceva perfettamente ogni genere musicale, ma amava follemente la musica brasiliana, la napoletana, la afro. Tutti generi da me distantissimi, che mai avrei immaginato lui potesse amare, dato che nel suo negozio questi generi musicali non si sentivano mai.
“Dischi Arcella” ha chiuso circa 10 anni fa, un giorno per me assolutamente triste. Don Pablo è scomparso per colpa delle troppe sigarette, Joao fa il produttore musicale ed il DJ in discoteca, dove alterna serate di musica house, di musica anni ’80-’90, e di musica afro.

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Il seme

In qualità di genitore, dispenso consigli a mio figlio, pur vedendo che lui li ascolta appena.
Io spero che siano come dei semi: che diano frutto a tempo debito, anche se nell’immediato sembrano buttati via.

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Aeroporti: “Westray” e “Papa Westray” (Isole Orcadi, Scozia, Regno Unito)

Ci troviamo nelle Isole Orcadi, nel nord-est della Scozia, e più precisamente nelle isole “Westray” e “Papa Westray”.
Ecco una piantina dell’arcipelago:

Ebbene, queste isole sono “famose” perché sono collegate dal più breve volo di linea del mondo: la distanza in linea d’aria tra i due aeroporti, infatti, è inferiore ai 3 Km, ed il volo che li collega dura circa 1 minuto (2 minuti se includiamo il rullaggio).


“Westray” airport


“Papa Westray” airport

Trattandosi di un volo di linea, esiste una compagnia che collega regolarmente le due isole. Si tratta della “Loganair”, la più grande compagnia aerea regionale dell’intero Regno Unito.


Il logo della “Loganair”


Il breve volo tra le due isole

Per curiosità ho finto di prenotare sul sito della “Loganair” un biglietto andata/ritorno tra le due isole, scoprendo che i voli non sono quotidiani, ma quasi:

Con meno di 15 Sterline, a testa, ci si fa un bel viaggetto andata e ritorno.

A livello paesaggistico/storico le due isole, “Westray” e “Papa Westray”, sembrano davvero valere una (breve) visita.


Le scogliere di “Westray”


Tramonto a “Westray”


Antica chiesa di San Bonifacio a “Papa Westray”


Insediamento neolitico a “Papa Westray”

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“Ode allo Svitol”

Lo “Svitol”, il lubrificante che serve per oliare e lubrificare ingranaggi di ogni tipo, è mio amico prezioso da decenni.

Alcuni mesi fa l’ho usato per la saracinesca del garage, che era diventata lenta e pesante da aprire e chiudere.
Pochi spruzzi, ed in pratica ora si chiude da sola, basta solo una leggera pressione per abbassarla; e per aprirla lo sforzo è davvero minimo.

Ieri ho usato lo “Svitol” per sbloccare una saracinesca avvolgibile blindata, che non ne voleva sapere di abbassarsi se non tirandola manualmente verso il basso mentre si tendeva il cordone interno.
Pochi spruzzi sulla puleggia, sul riduttore e sul rullo e – meraviglia! – la saracinesca ha iniziato a funzionare come fosse nuova di zecca, oltre ogni mia previsione e speranza.

Credo che lo “Svitol” sia davvero un prodotto quasi indispensabile nella casa di ognuno di noi.
Voi ce l’avete? Lo usate mai?

Per ringraziare lo “Svitol” ho chiesto a ChatGBT di comporre una poesia, che io ho poi “aggiustato” per darle un significato più preciso.
Ecco cosa ne è scaturito.

“Ode allo Svitol”

In bottiglia d’acciaio, celato potere,
Svitol, liquido d’arte, nel tuo nome un dovere.
Tra meccaniche sinfonie, sei la nota più dolce,
Sciolto nei circuiti, l’incanto che svolge.

Affronti l’inerzia, con gesto leggero,
Sveli i segreti di ogni ingranaggio fiero.
Nelle vene di metallo, scorri come un fiume,
Porti vita e vigore, in ogni macchine lume.

Con te, il tempo si arresta, l’usura si arrende,
Sui binari dell’olio, ogni attrito si distende.
Nella gara contro il tempo, tu sei l’alleato,
Con la tua magia fluida, ogni resistente è annientato.

Svitol, alchimia moderna di laborioso ingegno,
In te, ogni macchina ritrova il suo regno.
Con la tua formula magica, sempre ci guidi,
Contro le macchine ogni ingranaggio sfidi.

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Oggi parliamo di… David Purley

Quando morì a soli 40 anni, nel 1985, il pilota di Formula 1 James Hunt dichiarò: “Aveva esaurito tutte le sue 9 vite”.
Sì, perché David Purley (nato nel 1945), anch’egli ex-pilota di Formula 1, aveva più volte rischiato la sua vita, venendo anche encomiato pubblicamente per un suo atto di eroismo.

Già durante il servizio militare uscì miracolosamente illeso da un singolare incidente: al suo primo lancio come paracadutista, il suo paracadute non si aprì, ma incredibilmente, mentre precipitava nel vuoto, finì sul paracadute aperto del sergente che lo aveva preceduto e, nonostante un “pesante” atterraggio, sopravvissero entrambi.

Poi nel 1973 entrò in Formula 1.


David Purley in Formula 1

In uno dei suoi primi gran premi accadde un disastroso incidente a Zandvoort che coinvolse il pilota Roger Williamson, il quale rimase intrappolato nella sua macchina ribaltata e in fiamme. Purley non esitò a portargli aiuto: lasciò la propria vettura e corse a salvare Williamson, senza riuscirci, e senza ricevere aiuto dai commissari di gara i quali, privi di indumenti ignifughi, non poterono intervenire. Fu un vero atto di eroismo, purtroppo vano: Williamson morì per asfissia, mentre Purley lo sentiva gridare aiuto.

Tutto ripreso dalle telecamere (video molto forte, visualizzabile solo su YouTube a questo link)

Purley, per questo suo atto d’eroismo, venne insignito della “George Medal”, medaglia del Regno Unito e del Commonwealth assegnata per premiare le azioni di coraggio.


David Purley, con la moglie, insignito della “George Medal”

Nel 1977, sempre in Formula 1, ebbe un gravissimo incidente a Silverstone: si bloccarono i pedali di acceleratore e freno, e Purley si schiantò a 173 Km/h nel brevissimo spazio di 66 centimetri! In pratica passò da 173 a zero in meno di un metro, con una decelerazione pari a 179G. Nessuno pensava che sarebbe sopravvissuto ed invece… costole rotte, bacino completamente fratturato, gambe spezzate in più punti (da allora la gamba sinistra rimase per sempre più corta della destra), ma comunque sopravvisse.

Purley lasciò la Formula 1 ma non per dedicarsi al golf: intraprese il volo acrobatico con aeroplani d’epoca.
Ma non gli andò bene: il 2 luglio 1985 con il suo biplano acrobatico Pitts Special si schiantò nel Canale della Manica, e morì.


David Purley con il suo aeroplano


David Purley (1945-1985)


Memoriale a David Purley, realizzato dall’artista britannico Gordon Young

“Gone now your eager smile,
high held head and soldier’s stride,
etched were skies by your elegant style,
and this earth enriched by your pride”

“Ora se n’è andato il tuo sorriso impaziente,
testa alta e passo da soldato,
furono incisi i cieli dal tuo stile elegante,
e questa terra arricchita dal tuo orgoglio”

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D&D – Domenica e Dischi. I miei album preferiti del 1990

Continua la mia rubrica settimanale “D&D – Domenica e Dischi”, dove faccio una carrellata dei miei album preferiti dal 1973 fino al 2024.
Oggi parliamo dell’anno 1990.

Nel 1990 continua la mia avventura universitaria (Scienze Statistiche ed Economiche), ed i voti iniziano ad essere più alti dopo un inizio a rilento. E’ una facoltà che mi piace davvero e nella quale trovo grandi soddisfazioni. Anche con la morosa, Chiara, va tutto bene. Lei è benvoluta dalla mia famiglia, io sono benvoluto dalla sua.
Già: la sua famiglia. Capisco piano piano che viaggiamo su due livelli differenti: io sono figlio di un impiegato ed una casalinga, ed ho sempre fatto i conti con delle risorse economiche limitate. Lei invece è figlia di un professore universitario e di una professoressa delle scuole medie, e sono – se non proprio ricchi – certamente benestanti. Molto benestanti.
Una differenza di “status” che purtroppo alla fine inciderà sul nostro rapporto.
Continuo a dare ripetizioni, il ché mi garantisce quell’introito che mi permette di non pesare sui miei genitori per quanto riguarda la morosa (regalini, pizze, uscite varie), le partite di calcio e – naturalmente – i dischi, che continuo a comperare avidamente. Anzi, ora ho anche il lettore CD, per cui ai vinili si aggiungono questi nuovi supporti che garantiscono una qualità audio migliore e di più semplice fruizione. E spesso sui CD singoli vengono pubblicati “Lati-B” o remix differenti rispetto alla versione su vinile, per cui spessissimo mi trovo a comperare, per i singoli che mi piacciono e colleziono, sia il 45 giri, sia il remix su vinile, sia il CD singolo.

Eccovi i miei 10 album preferiti del 1990.
Buona lettura.

#10 Madonna: “I’m Breathless

Si tratta della colonna sonora del film “Dick Tracy”, nel quale Madonna compare anche come attrice. Non credo che il film sia da considerare “memorabile”, certamente l’album è interessante, specialmente per quanto riguarda i singoli, come “Hanky Panky” e “Something to Remember”. Ma il mio brano preferito è “Vogue”, che mi è sempre piaciuto moltissimo e che ho inserito al 5° posto della mia speciale classifica delle mie canzoni preferite di Madonna.
A “Vogue” ho anche dedicato questo articolo all’interno della mia rubrica “Saturday Pop”.

#9 George Michael: “Listen Without Prejudice Vol. 1”

Innanzitutto è strano che questo album sia intitolato “Vol. 1”, ma non sia mai stato pubblicato un “Vol. 2”. A dire il vero il “Vol. 2” era stato pianificato per il giugno 1991, ma poi la sua pubblicazione venne annullata per motivi mai chiariti. In questo album George cambia radicalmente direzione rispetto al precedente “Faith”: nuovo look (basta giubbetto in pelle, occhiali scuri e jeans), una maggiore sobrietà (almeno sul palco, dato che nei video promozionali lui non compare), e canzoni più tranquille e melodiche, tra cui “Praying for Time” e “Freedom! ’90”.

#8 A-ha: “East of the Sun, West of the Moon”

4° album dei miei amici norvegesi che abbandonano, almeno in parte, sintetizatori e strumenti elettronici per dedicarsi a suoni più caldi ed acustici. Il titolo deriva da una favola norvegese (“Østenfor sol og vestenfor måne”) che potete leggere cliccando qui, a patto di conoscere bene la lingua norvegese. Tra le canzoni incluse cito i singoli “Early Morning” e “I Call Your Name”, ma specialmente “Crying in the Rain” (bellissima), originariamente incisa nel 1962 dagli Everly Brothers.

#7 Claudio Baglioni: “Oltre”

Un “concept album” che segue la storia di Cucaio, nome ispirato dal modo in cui Baglioni pronunciava il proprio nome da bambino. Un album cha avuto una genesi molto lunga e contorta, ma l’attesa non è stata vana: si tratta di un disco pieno di piccole gemme come “Dagli il via”, “Vivi”, “Noi no” (la mia preferita) e “Dov’è dov’è”, ed il cui tour ha avuto un successo spropositato.

#6 Enigma: “MCMXC a.D.”

Un “concept album” a mio avviso stupendo, dove i temi legati a religione, peccato e sessualità si incrociano in modo mirabile, anche grazie alla inclusione di canti gregoriani, musica elettronica, la voce di Maria Callas, ed effetti speciali mirabili, con pioggia e tamburi, e poi flauti, violini… Bellissimo. Uscì anche in formato VHS (Video cassetta) dato che ogni brano era accompagnato da un video molto originale.
Il genio dietro questo capolavoro è Michael Cretu, musicista rumeno, che si fa accompagnare nelle parti vocali dalla moglie Sandra, molto nota negli anni ’80 per diverse canzoni di successo, tra le quali la famosa “Maria Magdalena”.
“Sadeness” (chiaro riferimento al Marchese de Sade), “Mea Culpa” (ispirato al “Kyrie eleison”), “Principles of Lust” (si parla di lussuria), “The Rivers of Belief” (Libro della Rivelazione 8:1 “Quando l’Agnello aprirà il settimo sigillo, il silenzio contemplerà il cielo”), “Callas Went Away” (tributo alla grande cantante lirica). Un album di una bellezza unica.

#5 Jesus Loves You: “The Martyr Mantras”

Si tratta di un progetto musicale di Boy George, pubblicato dalla casa discografica da lui fondata, la “More Protein”. E’ un album caratterizzato da musica “house” (che all’inizio degli anni ’90 sta spopolando in tutta Europa), tracce acustiche e temi legati all’amore, alla malinconia ed alla religione. Adorabile “After the Love” (la mia preferita, dedicata ad un amore finito), ma molto bella anche “Generations of Love” (dove George affrontata l’ingiustizia sociale con un messaggio di speranza e amore), e poi “Bow Down Mister” (canzone dedicata agli Hare Krishna, che Boy George ringrazia per averlo aiutato a ritrovare se stesso e fatto uscire dalla dipendenza dall’eroina). L’album “The Martyr Mantras” non riscosse grande successo commerciale, ma la sua pubblicazione sottotraccia lascia intuire che non fossero le classifiche il vero obiettivo di Boy George: voleva fare un disco che piacesse innanzitutto a lui, con testi personali, e con una musica poco commerciale ma molto alternativa, che si allontanava dal pop, per abbracciare house e dance. Ne parlai in questo articolo.

#4 Black Box: “Dreamland”

Si tratta del più bell’album in stile “italian house” mai pubblicato. Il trio Daniele Davoli / Mirko Limoni / Valerio Semplici (sono loro i “Black Box”) adottano alla perfezione l’arte del campionamento e producono brani che scalano letteralmente le classifiche internazionali, basti pensare che il singolo “Ride on Time” raggiunge addirittura il 1° posto della classifica inglese. In tema di musica house ha fatto letteralmente la storia della musica. Ero in discoteca con Chiara quando la sentii per la prima volta, e fu un momento di esaltazione assoluta. Indimenticabile. Altri singoli di successo furono “I Don’t Know Anybody Else” e “Everybody Everybody”.

#3 The Beloved: “Happiness”

Il mio amico Zax, una domenica pomeriggio, mi disse: “Devi smetterla di ascoltare la tua solita musica di merda. Ecco un nuovo gruppo che fa per te”. E mi fece ascoltare i Beloved.
Zax aveva visto giusto. Ho adorato i Beloved sin dall’inizio, grazie alla loro musica – definita “ambient house” – che unisce la nuova “house” con lo stile “lounge” che darà vita ad un filone infinito di pubblicazioni, basti pensare alle compilation “Buddha Bar” che vennero pubblicate per molti anni (ben 18 pubblicazioni) e di cui i Beloved furono i capostipiti ed ispiratori, grazie al brano “The Sun Rising”. Ma “Happiness” contiene molto altro: arrangiamenti elettronici, dance e trance music, con molti singoli che entrarono in classifica, come “Hello”, “Your Love Takes Me Higher” (fu questo il brano che mi face ascoltare Zax), il lento “Time After Time” e “Scarlet Beautiful”, una canzone che adoro. Il cantante dei Beloved, Jon Marsh, è sempre stato molto comunicativo con i fans, ed ancora oggi – dopo tanti anni – mi tengo in contatto con lui anche a livello personale. Anni fa (ne parlai in questo articolo) mi spedì personalmente a casa numerosi dischi del tutto introvabili in commercio.

Come accadde parlando degli album del 1986, anche per il 1990 metto due album al 1° posto a pari merito, perché giudico entrambi non solo dei capolavori assoluti, ma anche album che sono stati fondamentali per la mia crescita personale.
Ormai lo sapete: la musica rappresenta per me un aspetto che non esito a definire “vitale”. E mentre ci sono dischi – moltissimi – che mi piacciono e riascolto sempre volentieri, ce ne sono alcuni che diventano un tatuaggio per la mia pelle e per la mia anima. Dischi che mi ispirano, mi confortano, mi sorreggono, mi danno energia. Che mi fanno ballare, cantare, ridere, piangere.
“Behaviour” e “Violator” sono proprio due dischi che amo con tutto me stesso.

#1 Pet Shop Boys: “Behaviour”

Un album dove l’orchestra, con violini ed arpeggi, si mescola con tastiere e sintetizzatori in un risultato davvero mirabile. Testi introspettivi e malinconici, dove emergono ricordi e sentimenti, che si fondono con lo spettacolo della natura visto attraverso la finestra del nostro cuore. Rimasi affascinato dal primo singolo – “So Hard” – molto elettronico, che tratta il tema della incomprensione. Ma l’album è musicalmente assai differente: “Being Boring”, capolavoro assoluto della lunghissima carriera discografica dei PSB, ripercorre i ricordi di Tennant, in una canzone autobiografica e struggente. E poi “Jealousy” (che parla ovviamente di gelosia), “This Must Be the Place I Waited Years to Leave” (la voglia di crescere e scappare), “How Can You Expect to Be Taken Seriously?” (ipocrisia), ed anche un pizzico di riferimenti storici nella sinfonica “My October Symphony”.
Un album molto più maturo ed intimistico rispetto ai precedenti, che mi è entrato nel cuore e che viene valutato dalla critica come uno dei migliori album degli anni ’90.
Un album che è diventato un tatuaggio permanente nella mia anima.

#1 Depeche Mode: “Violator”

Un album iconico per la storia della musica, che consente ai DM di diventare delle stelle assolute a livello mondiale, grazie a brani famosissimi e di una bellezza unica. Anche a livello visuale – copertine e video musicali – l’intero progetto rende “Violator” davvero indimenticabile.
Io rimasi folgorato sin dal primo singolo, “Personal Jesus”: dal ritmo inconfondibile e con un video – diretto dal mio regista preferito, Anton Corbijn – accattivante, già capisco che i Depeche Mode stanno per fare il botto.
Ed infatti ecco che subito dopo viene pubblicata “Enjoy the Silence”, che io pongo tra le prime 3 canzoni più belle di sempre. Difficile spiegare in poche righe le emozioni che la canzone – unitamente al suo video, le sue copertine ed suoi remix – hanno sempre saputo generare dentro di me ad ogni ascolto. Ho provato a parlarne in questo articolo.
Ma poi “Policy of Truth”, elettronica e dal sound cupo, e “World in My Eyes”, che dal vivo è diventata un tributo a Andy Fletcher, il tastierista scomparso l’anno scorso. Anche per questa canzone ho dedicato un articolo, questo.
Ma che dire poi della copertina di “Violator”?
La copertina più bella di sempre, disegnata anch’essa da Anton Corbijn ed ispirata a “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry.
Talmente bella che me la sono tatuata.
Un album che è diventato un tatuaggio permanente sulla mia pelle.

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Seconda posizione!

Ormai sapete che sono un fan dei Pet Shop Boys.
Ebbene, il loro nuovissimo album – “Nonetheless” – è entrato in classifica addirittura al 2° posto, dietro la inarrivabile Taylor Swift.
Un risultato assolutamente eccezionale, dopo 40 anni di carriera.

La soddisfazione – della band, mia, e dei fans in generale – è ai massimi livelli.
Un album dove ogni canzone presenta una orchestra di 40 elementi, ma senza perdere il lato synth/elettronico che da sempre contraddistingue il loro sound.

“I wish I lived my life free-and-easier
I need to find a new bohemia”

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Saturday Pop. Simple Minds: “Belfast Child”

“She Moved Through the Fair” è una canzone tradizionale irlandese la cui musica viene fatta risalire al XIX secolo, sebbene la melodia sembra provenire addirittura dai tempi medievali.
Il suo testo venne pubblicato per la prima volta nel libro “Irish Country Songs”, pubblicato nel 1909.
Le parole tratteggiano un quadro di assoluta malinconia:
Colui che parla, vede la fidanzata allontanarsi, dopo essersi scambiati la vicendevole promessa di matrimonio.

“it will not be long, love, till our wedding day”

Ma lei tornerà da lui solamente con le sembianze di un fantasma, rinnovando tuttavia la promessa di matrimonio, facendo capire all’amato che lei è morta, e che le loro anime si potranno incontrare solo nell’aldilà.

Jim Kerr e la sua band utilizzeranno la melodia di “She Moved Through the Fair” per dar vita alla ballata “Belfast Child”, che dunque ne mantiene le note, ma con un testo differente.
Il nuovo testo ci riporta all’attentato di Enniskillen (Irlanda del Nord, 8 novembre 1987) quando una bomba piazzata dall’IRA (Esercito Repubblicano Irlandese) esplose durante una funzione nel Giorno della Memoria uccidendo 12 persone e ferendone oltre 60. L’intenzione di “Belfast Child” è dunque quella di parlare della follia umana, e del dolore e della solitudine di coloro che hanno perso i loro cari in un modo così tragico.

Benché con un testo differente, la malinconia della canzone originale rimane inalterata, e ci regala questo vero gioiello incluso nell’album “Street Fighting Years” e nell’EP “Ballad of the Streets”, entrambi meravigliosi.

“One day we’ll return here
When the Belfast Child sings again”

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